Introversione e terapia scritta

Salve, ho deciso di scriverti/vi (non so a chi rivolgermi, quindi parlerò ad un tu immaginario) perchè mi sono accorta di avere un grosso problema.
Dunque, andiamo con ordine, sono un ragazza di diciassette anni e, come tutti gli adolescenti, sono piena zeppa di dubbi ed incertezze sul futuro; fino a qui capisco anche io che è normale, però c’è dell’altro: i miei genitori sono divorziati da quando avevo tre anni e mezzo e mia mamma è risposata e mio babbo ha un figlio con un’altra donna. So che anche questa è una situazione neanche tanto rara e che, al giorno d’oggi sono veramente tanti i ragazzi e i bambini a trovarsi nella mia stessa situazione. Al di là di ciò io non ho comunque vissuto bene tutta la cosa e sono piuttosto convinta di avere parecchie “pratiche in sospeso” dentro me stessa, così la scorsa estate, di mia spontanea volontà ed assolutamente sicura di quello che facevo, sono andata da una psicologa per cercare di scavare più a fondo dentro di me e fare un po’ di chiarezza. Non dico che non mi sia servito perchè sicuramente ho scoperto e preso consapevolezza di parecchie cose, però so perfettamente di non essere andata VERAMENTE a fondo. Questo perchè non sono riuscita ad aprirmi completamente, quindi la questione è finita lì ed alla fine dell’estate abbiamo deciso di comune accordo che non ci sarei più andata.


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Risponde il Dr. Jacopo Campidori

Salve Veronica, per cominciare  grazie per aver scritto,

Come anche lei fa notare, il rapporto terapeutico che si instaura di persona ha un differente valore rispetto a quello che si può instaurare ricorrendo ad un rapporto di tipo epistolare. Questa differenza non è legata solamente alla mancanza del linguaggio non verbale e paraverbale, ma anche ad un differente investimento che lei porterebbe nella relazione: la compilazione di un diario o lo scambio epistolare, effettivamente le permetterebbero di aprirsi come non riesce a fare in prima persona, ma sarebbe una comunicazione mediata, una comunicazione in cui non entrerebbero in gioco quei blocchi emotivi che lei stessa desidera risolvere, confermando solamente i suoi limiti e i suoi timori.
In parole povere lei troverebbe una certa difficoltà a “tirare fuori tutto quello che ha dentro”, ma così facendo eviterebbe proprio quello in cui ha più difficoltà, esprimendo i suoi pensieri, il suo vissuto, in maniera indiretta, senza realmente affrontare il nocciolo della questione.

Io piuttosto che trovare una via “facile” con cui ovviare alle sue difficoltà, mi chiederei quali sono i motivi che la bloccano di fronte ad un interlocutore, e perchè dire determinate cose “ad alta voce la terrorizza”. Sono domande che necessitano una risposta, e che difficilmente troverebbe protetta tra le quattro mura della sua stanza senza porsi di fronte ai suoi limiti.

Inoltre vorrei farle notare una cosa iportante: lei dice di non essere stata in grado, con la psicologa, di aprirsi completamente e di non essere risucita ad andare fino in fondo. E di aver quindi deciso di rinunciare. Non si è mai chiesta se, in questo caso, il suo problema non sia essenzialmente legato alla realzione istaurata col suo terapeuta, ma che le stesse dinamiche potrebbero non accadere con un’altro psicologo?

Lei si è assunta tutta la colpa della sua incapacità, ma vorrei farle notare che le cose non stanno necessariamente così: può succedere in qualunque rapporto di trovare delle difficoltà, difficoltà ad instaurare una relazione sicura ed efficace, difficoltà che non permettono ai due interlocutori di interagire appieno. E perchè questo non dovrebbe accadere anche in un percorso psicologico? Può succedere (e non è neppure una cosa così rara) che non si instaurari, fin dall’inizio, una realazione ottimale con lo psicologo, e questo non perchè si tratta di un professionista incapace a fare il suo lavoro, ma solamente per colpa di una incompatibilità fra i due. In questo senso le ripeto, non può assumersi la colpa dopo un’unica esperienza andata male, potrebbe benissimo essere che, seguendo il percorso con un ‘altro terapeuta, questi suoi problemi non emergano, e che si scopra di essere in grado di esprimere i suoi vissuti più profondi in maniera sincera e senza timori alcuni.

Quello che lei domanda, “una terapia scrivendo”, penso che possa essere un utile strumento solo se affiancata ad un percorso concreto vis-a-vis, un contributo importante che però dovrebbe essere deciso e regolato assieme allo psicologo che la segue.

Questo non per dirle che quello che lei chiede è impossibile, in quanto esistono psicologi che accettano di fare sedute via internet (chat, skype), ma che a mio modo di vedere lasciano il tempo che trovano, diventando spesso solamente un mezzo semplice per accaparrarsi un maggior numero di clienti, senza purtroppo portare un autentico beneficio al paziente. D’altra parte però, è da sottolineare, che in alcuni casi questi mezzi a distanza sono l’unica via che il paziente ha per seguire una terapia (per impossibilità ad uscire di casa, per una distanza troppo grande tra paziente e terapeuta, o altre motivazioni), e in questo caso possono essere legittimati ed anche funzionali. Ma, laddove un percorso vis-a-vis è possibile, lo trovo di gran lunga preferibile a qualsiasi altra procedura.

Spero di essere stato chiaro, e di aver risposto in maniera adeguata alla sua domanda. Se ha ancora bisogno mi scriva pure, e non si faccia problemi a contattarmi per qualsiasi ragione.

Nella speranza di esserle stato d’aiuto,
Porgo cordiali saluti,
Dr. Jacopo Campidori, Psicologo.


Jacopo Campidori, Psicologo e Psicoterapeuta di orientamento Cognitivo-Costruttivista. E’ nato nel 1978 a Firenze, dove attualmente vive e lavora. Direttore della rivista on-line di Psicologia “GliPsicologi.info“. Pratica la libera professione (terapia individuale con adulti, adolescenti e di coppia) presso il suo studio a Firenze.
Leggi tutti gli articoli di Jacopo Campidori

Email: jacopo.campidori@glipsicologi.info

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Una risposta

  1. sonia ha detto:

    Sono seguita dal Dr.Campidori da un periodo relativamente breve, ma posso dire che ho messo in pratica alcuni consigli che il Campidori ma ha dato.
    Anche scrivere appunto, un episodio anche piccolo che la mente tende a dimenticare, può essere importante x la terapia stessa.
    O quando il dolore è troppo forte, e la solitudine è grande, scrivendo ci si sente meno soli, la mente si distrae e rimangono scritte delle parole importanti.

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