Avviso ai naviganti: attenti alla rete!
Avviso ai naviganti: attenti alla rete!
a cura del Dr. Carlo Buonanno
Correva l’anno 1996, quando Kimberly S. Young, ricercatrice dell’Università di Pittsburgh pubblicava uno dei primi articoli su internet addiction. Sono trascorsi quasi vent’anni e, pur non avendo ancora dignità di diagnosi, il fenomeno della dipendenza da internet è aumentato parallelamente al desiderio di connettersi. Navigare senza fare alcunché di utile, se non perseguire uno stato di assorbimento. Fare surf così come zapping. Riempirsi la testa di dati, immagini che scorrono a cascata e che alla fine non costituiscono alcun mosaico che abbia senso. L’esito è un sovraccarico cognitivo a cui si associa un peggioramento delle capacità di memoria ed attenzione che, nei casi più gravi, produce una compromissione di diverse aree.
Il forte desiderio di connettersi al Web è, infatti, una sirena che irretisce e divora fino a farti perdere il senso del tempo, le amicizie o il lavoro. Con l’aumentare delle ore trascorse davanti allo schermo, si riduce anche la cura di sé. Si diventa irritabile e ogni tentativo di genitori o partner di distoglierci dal cyber torpore viene vissuto con sofferenza ed intenso fastidio.
Negli ultimi cinque anni, l’interesse dei ricercatori per la comprensione degli effetti psicologici che l’uso di internet comporta è cresciuto e, ad oggi, sono disponibili i primi studi sugli esiti degli interventi. Le ricerche mostrerebbero come la psicoterapia cognitivo comportamentale produca esiti stabili anche a sei mesi dalla conclusione dell’intervento. Risultai che rendono più chiari i confini di quello che rimane comunque un costrutto eterogeneo.
Riconoscere un problema nell’uso induce tentazioni di censure radicali o divieti di utilizzo. Ma Internet è uno strumento che ha modificato in meglio la comunicazione. Comunque sia, tutte le volte che sento parlar male della rete, mi viene in mente una vecchia battuta di Massimo Troisi in “Ricomincio da tre”. L’anziana signora che aveva ridotto il proprio figlio (Robertino), interpretato da un formidabile Renato Scarpa, ad un “oggetto di antiquariato” in una casa che sembrava un museo, lo interrogava a proposito di quale fosse la rovina dei giovani. Rispolverando un canovaccio ripetuto ormai chissà quante volte, Robertino-Scarpa rispondeva “La minigonna! I capelloni!”. A quel punto Gaetano-Troisi aggiungeva “il grammofono”.
Robertino è un tipo umano senza tempo. L’esito di una madre che gli impedisce di stare nel mondo, insieme agli altri. L’ultimo baluardo all’emancipazione dalle stilografiche e dai biglietti da visita. Un arnese polveroso che appartiene al secolo scorso, ingenuo e disposto a fidarsi di tutto, purché non sia nuovo.
Oggi sarebbe solo davanti a un pc, intossicato da una tecnologia che stroppia, imbambolato ed in preda a vecchi interrogativi sui limiti del cyber sex.
Sarà banale, ma la virtù sta nel mezzo. Magari per strada, con uno smartphone che ci colleghi al mondo, in compagnia di un amico cui parlare di sé. E chissà che proprio lì non ci sia anche un po’ di salute mentale.
Articolo scritto da Carlo Buonanno, docente e didatta della Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Roma (www.apc.it)