Avere successo all’università – Parte 5 (di 5)

Avere successo all’università – Parte 5 (di 5)
Dimmi come studi e ti dirò chi sei

A cura della Dott.ssa Marta Pecchi

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Convinzioni dello studente

Comportamenti di studio poco efficaci e caratterizzati da un atteggiamento piuttosto passivo e abitudinario costituiscono spesso il nucleo centrale di una serie di difficoltà incontrate dagli studenti. Herman, Raybeck e Gutman (1993) hanno stilato, utilizzando i dati raccolti con un questionario, un elenco delle cattive abitudini di studio più diffuse e consolidate tra studenti ormai maturi. Alcune di queste riguardano le convinzione che gli argomenti di studio non siano sufficientemente utili o interessanti, per cui è conveniente dedicarvi il minor tempo possibile; altre convinzioni dannose sono il non ritenere importanti ai fini di un’adeguata preparazione la memoria e le strategie per sostenerla, il proprio benessere psicofisico e la consapevolezza dei propri ritmi di apprendimento.

Altre convinzioni di cruciale importanza nello studio e che, se presenti in una certa prospettiva, possono rivelarsi ostacolanti per l’apprendimento sono quelle relative alla natura, al funzionamento e alla modificazione della propria intelligenza, note come teorie implicite.

Teorie implicite dell’intelligenza

Le teorie implicite si riferiscono alle convinzioni personali circa la staticità o la modificabilità della propria intelligenza.

Nello specifico, si distinguono teorie che concepiscono l’intelligenza come passibile di modifiche ed eventuali incrementi (teorie incrementali) e teorie che la concepiscono invece come insieme di abilità difficilmente modificabili (teorie d’entità). Ad una teoria di tipo incrementale, che sottintende la possibilità di modificazione e miglioramento delle abilità intellettive a seguito dell’apprendimento di migliori strategie e dell’esperienza, sembrerebbe corrispondere una maggiore fiducia nelle proprie possibilità di riuscita accompagnata da un atteggiamento più strategico, rispetto alle teorie dell’entità che, considerando l’intelligenza una costante fissa e immodificabile, conducono ad un tipo di atteggiamento più rinunciatario, ansioso, e quindi meno orientato al successo (Dewck, 2000). L’idea di non poter sviluppare la propria intelligenza porta ad affrontare solo le situazioni verso le quali ci si sente portati e ad evitare le altre. Se non è possibile evitarle, di fronte ad esse si può manifestare ansia dovuta al timore di fallire e alla convinzione di sentirsi giudicati come incapaci.

Interagiscono con le teorie ingenue sull’intelligenza gli atteggiamenti di maggiore o minore fiducia che un individuo possiede nei confronti della propria potenzialità intellettuale.

Fiducia nella propria intelligenza

La fiducia che un individuo ha nei confronti della propria intelligenza rappresenta la certezza/incertezza che la persona esprime nei confronti delle proprie abilità intellettive. Tale aspetto modula l’effetto che le teorie implicite hanno sull’apprendimento. In particolare, una teoria incrementale è maggiormente legata al successo e dunque preferibile se accompagnata da un basso livello di fiducia: lo studente concepisce la propria intelligenza come modificabile e si interroga costantemente sulla possibilità di riuscire, impegnandosi per raggiungere tale obiettivo. Al contrario, una teoria d’entità tende a produrre maggiori effetti se associata ad un alto livello di fiducia. In questo caso il livello di sicurezza sperimentato dallo studente è di tipo tutto o niente: essendo l’intelligenza fissa, per alcuni compiti si è portati e per altri no; i primi sono dunque affrontati con successo, i secondi evitati.

Obiettivi di apprendimento

Gli obbiettivi che gli studenti si pongono nella scelta delle attività e del compito possono essere distinti in: obbiettivi di “prestazione” e di “padronanza” (Dweck, 1999). I primi sono propri di coloro che tendono essenzialmente alla dimostrazione esterna delle abilità personali, all’ottenimento di riconoscimenti concreti e tendenzialmente poco motivati all’apprendimento; i secondi si riferiscono a coloro che apprendono con lo scopo ultimo di accrescere le proprie competenze e dunque tendenzialmente di maggiore successo. Il tipo di obbiettivi che uno studente si pone influenza indirettamente la prestazione, andando a determinare tutta una serie di fattori come persistenza e scelta del compito, attribuzioni, aspettative e strategie adottate sulla base dei quali si distinguono gli studenti con diverso rendimento.

Nella realtà gli obiettivi di prestazione e padronanza non sono così strettamente distinti. La tendenza a dimostrare (obiettivi di padronanza) o confermare (obiettivi di prestazione) le proprie capacità può variare rispetto agli elementi contingenti e alle richieste dell’ambiente, oltre che per effetto di specifiche disposizioni e ben definiti interessi personali. Il caso di uno studente che si pone costantemente obiettivi di prestazione oppure di sola padronanza è certamente più teorico che reale. E’ invece molto più probabile che il clima in cui si realizza l’apprendimento faccia emergere per alcune materie o ambiti di conoscenza obiettivi di prestazione, per altri obiettivi di padronanza.

Percezione delle proprie abilità

La percezione personale che uno studente possiede circa le proprie capacità ed abilità costituisce una componente motivazionale di fondamentale importanza per la differenziazione di studenti con diversi livelli di rendimento. La percezione della prorpia autoefficacia comprende aspetti quali: valutazione del proprio livello di abilità, aspettative di riuscita ed importanza assegnata al compito. E’ stata dimostrata una stretta relazione tra il livello di autoefficacia percepita e la prestazione: studenti con alta percezione di autoefficacia tendono a possedere aspettative di successo, obbiettivi concreti e ben definiti, attribuzione all’impegno, fiducia in sé, alta persistenza, scelta di compiti mediamente difficili. Studenti con bassa percezione di autoefficacia si pongono invece obbiettivi meno reali, hanno aspettative di fallimento, bassa persistenza, tendenza allo scarso impegno; tutto ciò aumenta la possibilità di fallimento che, se conseguito, porterà al consolidamento delle proprie convinzioni e del profilo di apprendimento negativo. In definitiva, il fatto di percepirsi autoefficaci influisce sulle proprie prestazioni, in quanto sentirsi capaci e in grado di esercitare un certo controllo sulla situazione, aumenta l’impegno e la persistenza di fronte al compito (De Beni, Moè e Cornoldi, 2003). Al contrario, se il soggetto è convinto di non avere buone abilità, ed attribuisce i propri fallimenti alla sua scarsa abilità, tenderà ad evitare situazioni che possano facilmente condurre ad un fallimento e quindi sarà sempre impegnato in compiti estremamente facili, o così difficili da creare problemi a chiunque (floor effect).

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