La Buona Vita: il contributo della Psicologia Positiva

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A cura del Dott. Claudio Bacchetti

 

Il dolore e la cura

Ci poniamo questioni insolubili da quando ci siamo evoluti in Homo sapiens, in pensatori compulsivi, ossia in creatori di simboli. Tali questioni, e il vano tentativo di rispondere e spiegare, hanno dato origine al Mito, alla Religione, alla Filosofia e, infine, alla Scienza. Abbiamo cercato di spiegare l’origine dell’universo, dell’essere umano, i misteri della Vita, della Morte, del Tempo. Ci siamo però resi conto di essere limitati, mancanti, fragili, di non essere in grado di tollerare la perdita, il lutto, il disagio, la malattia e l’invecchiamento. Abbiamo imparato che, nascendo, iniziamo a perdere la vita consumata dal Tempo, quello che morde le cose e ci lascia l’impronta dei denti (Bergson 2002, p. 43). Abbiamo cercato, e trovato, rifugi freddi e umidi, abbiamo eretto templi; tuttavia non c’è mai stato un sicuro riparo che ci proteggesse dal disagio e dal malessere che sono connaturati nell’essere umano. Perché niente di ciò che è al di fuori di noi ci garantisce la libertà dalla sofferenza (Hayes 2013, p.3). Poi, con l’affermarsi del Cristianesimo, è successo qualcosa nel nostro mondo occidentale dove il dolore, e ogni altra cosa, la stessa esistenza, sono diventate reali e non mera apparenza come, invece, nelle culture orientali. E questo dolore, è stato considerato l’inevitabile effetto di tale realtà. Da allora esso non è più connaturato nell’essere umano, ma noi ne siamo i responsabili: abbiamo inventato il peccato e la colpa.

senso-di-colpaPer la tradizione giudaico-cristiana il dolore è la conseguenza di una caduta dovuta alla colpa, che chiede riparazione ed è suscettibile di redenzione. In tale visione il dolore è castigo e a un tempo evento purificatore. […] Una volta secolarizzata, questa visione religiosa del mondo porta all’interpretazione del dolore come un inconveniente dell’esistenza da cui si può anche guarire (Galimberti 2005, p.16).

In altri termini, Umberto Galimberti scorge un’analogia tra dolore e malattia e tra pentimento e cura. In questa prospettiva, l’essere umano, non poteva che essere visto come patologico, soprattutto nella concezione freudiana dove le forze oscure dell’inconscio sono le cause della sofferenza e del disagio da cui occorre liberarsi (ivi, p. 18).

La principale critica mossa dalla Psicologia Positiva alle psicologie del Novecento consiste nel fatto che esse hanno scorto nell’essere umano il dolore e il disagio ed essersi occupate solamente della cura. Tuttavia questa critica, anche se giustificata, non tiene conto del contesto scientifico e culturale che hanno creato le varie psicologie di quel periodo; un contesto dove l’esistenza è descritta ed interpretata dai più grandi pensatori della storia occidentale come miserevole e priva di senso. Baudelaire ci parla di un profondo disagio esistenziale; per Kafka l’essere umano è inadeguato per natura; per Sartre siamo abitati da un nulla che non si può colmare. L’elenco potrebbe essere lunghissimo e comprende pensatori come Leopardi, Nietzche, Schopenauer e così via. Da questa particolare prospettiva culturale era inevitabile intravedere nell’essere umano la sofferenza e non scorgerne gli aspetti positivi. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che il Novecento è stato il secolo delle due grandi guerre mondiali che hanno sconvolto l’intero Occidente; il secolo della follia di Hitler, di Stalin e dei loro assurdi genocidi. I primi grandi teorici della personalità che hanno vissuto in prima persona questi terribili eventi non potevano che vedere, nell’essere umano, malvagità e dolore. A mio parere quella che viene definita un’eccessiva attenzione per la cura è ampliamente giustificata. Non dobbiamo mai dimenticarci l’importanza del contesto sia in ambito sociale e individuale, quindi la critica mossa dalla Psicologia Positiva a quelle particolari psicologie mi pare eccessiva e, forse, fuori luogo.

Sofferenza, tuttavia, non è sinonimo di dolore ma ne è interpretazione, valutazione ed elaborazione; la sofferenza può impedirci di avere sane e normali funzioni personali e interpersonali. Molte psicoterapie ci insegnano e ci educano a come vivere nel mondo reale affrontandone le difficoltà e sono realmente efficaci. E quando la sofferenza prende il sopravvento diventa necessario l’intervento di un competente psicoterapeuta.

Immagine presa e tradotta da mindquestgroup.com

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La promozione del Benessere

Quindi la Psicologia Positiva non si propone come alternativa alle psicoterapie, anche perché ha sviluppato pochi strumenti necessari per affrontare situazioni patologiche. Ci fornisce però competenze per riconoscere, valutare e potenziare ciò che funziona e ciò che potrebbe funzionare meglio, ci offre una nuova prospettiva che le altre psicologie hanno effettivamente ignorato: la promozione del Benessere. Più che una nuova teoria, potremmo definire la Psicologia Positiva una nuova prospettiva che riconosce nell’essere umano le parti sane e positive in grado di contribuire allo sviluppo e al miglioramento del Benessere. La Psicologia Positiva, che nasce una quindicina di anni fa negli USA ad opera di Martin Seligman e Mihalyi Csikszentmihalyi, si pone i seguenti obiettivi:

  • lo studio scientifico delle funzioni umane ottimali;
  • la scoperta, la comprensione e la promozione delle potenzialità umane in grado di ottimizzare la qualità della vita delle persone e delle comunità;
  • lo studio delle emozioni positive;
  • lo studio dei tratti positivi unitamente alle potenzialità e virtù, orientato a elaborare un sistema di classificazione delle potenzialità, come il DSM lo era per la classificazione delle malattie mentali (Laudadio-Mancuso 2015, p. 113).

Per conseguire tali obiettivi Seligman elabora, nel 2002, la Teoria della Felicità Autentica, presto abbandonata per l’ambiguità del termine felicità. Tale parola, secondo il nostro autore è talmente inflazionata da aver perso quasi ogni significato ed è sproporzionalmente legata all’umore (Seligman 2011, pp. 21-27). Essendo la felicità un’emozione, nella migliore delle ipotesi, ciascuno sa cosa è per lui una certa emozione, ma non è detto che un’ altra persona intenda esattamente la stessa cosa anche se usa la stessa parola (D’Urso-Trentin 1998, p. 5). Ci sono altre ragioni che ci inducono ad usare con cautela la parola felicità: essa appartiene a quei termini definiti ambigui (Quine 1970, p. 162 e segg). Qualcuno potrebbe sentirsi e definirsi felice per un evento positivo come un piacevole incontro, un nuovo lavoro e così via. Qualcun altro potrebbe però sentirsi e definirsi felice per la morte del suo peggior nemico o per la morte del tiranno. Queste persone potrebbero, il giorno seguente e per lo stesso motivo, sentirsi infelici o tristi; pare quindi evidente che il termine felicità non possa essere usato come sinonimo di benessere.

Trovare il significato di una parola si rivela spesso un’impresa ardua e, talvolta, usiamo termini come felicità e amore dando per scontato che il nostro interlocutore comprenda ciò che gli intendiamo comunicare, quando anche noi stessi, se interrogati sul significato di questi termini potremmo manifestare vaghezza e o difficoltà. Concludendo questo argomento che potremmo definire, con Quine, delle perversioni linguistiche, non possiamo, nell’ambito delle scienze umane, usare felicità e benessere come sinonimi, come termini intercambiabili né, tantomeno, con un costrutto ancor più complesso come quello di Qualità della Vita (QdV). Ovviamente, nel linguaggio ordinario, il termine felicità è usato quotidianamente da tutti noi per esprimere uno stato d’animo positivo, non necessariamente legato all’umore, ma implicante stabilità e intenzionalità.

Al fine di attribuire descrizioni e definizioni chiare, misurabili e condivise dobbiamo trasformare i concetti in costrutti e per fare ciò tali concetti devono essere operazionalizzati. Operazzionalizzare significa legare i concetti a operazioni che chiunque può osservare o eseguire, ed è ciò che dovrebbe rendere oggettivi i dati dell’osservazione scientifica. Le operazionalizzazioni, quindi, sono gli indicatori osservabili di una variabile psicologica latente, detta costrutto (Chiorri. p.27). In termini ordinari, sono gli indicatori ad attribuire senso e significato al costrutto. Ad esempio, il concetto di QdV ha più di cento differenti definizioni (Schalock 2006, p.45) e per superare questa confusione linguistica saranno i vari indicatori (autostima, fiducia, ottimismo, educazione, competenze personali ecc.) a fornirci un significato multidimensionale del costrutto QdV. Tuttavia l’oggettività psicometrica è raramente raggiungibile quando parliamo di emozioni o benessere soggettivo; benessere e QdV sono costrutti troppo complessi per rientrare in una definizione rigorosamente scientifica perché la loro misurazione è difficile, vista la quantità di indicatori che non sono oggettivabili come le aspettative, la responsabilità, la percezione del proprio stato di salute e così via (Ivi p. 29).

pensa_positivoPer queste ragioni, Seligman elabora nel 2011 la sua Teoria del Benessere, negando che l’oggetto della Psicologia Positiva sia una cosa reale, ma un costrutto (benessere) che a sua volta contiene degli elementi misurabili, ognuno dei quali è una cosa reale e contribuisce al benessere, ma nessuno dei quali lo definisce (Seligman 2011, p. 29). Il nostro autore ben ci spiega con il semplice esempio del tempo meteorologico. In questo caso il tempo non è una cosa reale, ma è definito da elementi reali che contribuiscono al tempo come la temperatura e il vento. Allo stesso modo il costrutto benessere è definito da cinque elementi le cui iniziali in inglese formano l’acronimo PERMA:

  • Emozione positiva (Positive emotion)
  • Coinvolgimento (Engament)
  • Relazioni positive (Relationship)
  • Significato (Meaning)
  • Realizzazione (Accomplishment

Come la sola temperatura o il solo vento non definiscono da soli il tempo meteorologico così nessuno di questi elementi definisce da solo il benessere, ma tutti vi contribuiscono (Ivi, p.42). Questi cinque elementi sono sostenuti da 24 punti di forza raggruppati in 6 categorie: saggezza, coraggio, umanità, giustizia, temperanza e trascendenza. Questi punti di forza e le corrispondenti categorie sono indagabili con il Signature Strenghts elaborato da C. Peterson e M. Seligman (Ivi, p. 347 e segg.). Una volta individuati i punti di forza si procede con una serie di interventi che permettono al cliente di apprendere nuovi set di abilità cognitive che implementano i punti di forza individuati e di conseguenza lo stesso benessere. Tali interventi consistono in numerosi esercizi e compiti a casa la cui efficacia è stata testata scientificamente e si possono trovare nei vari manuali scaricabili dal sito, come il Manual for Coach.

In Italia è attiva la Società Italiana di Psicologia Positiva. Franco Colombo e Margherita Baruffi (Colombo, Baruffi, 2010) partendo dal lavoro sui 14 Fondamentali della felicità di M. W. Fordycen, hanno ideato un interessante metodo per il miglioramento del benessere soggettivo: il Subjective Well-Being Training (SWBT). Anche qui il lavoro è suddiviso tra sedute in studio e compiti a casa; il procedimento è semplice e simile a quello presentato sopra. Con il SWBT non sono i punti di forza l’oggetto del training, ma i Fondamentali (essere più attivi, passare più tempo socializzando, svolgere attività che abbiano significato, ecc.). Questi coaching e training potrebbero apparire semplici o, addirittura, banali. In realtà sono molto più impegnativi ed efficaci di tante blasonate teorie che vi diranno chi siete, come funzionate, ma non vi diranno cosa fare e come agire per migliorare la vostra Qualità della Vita.

La Psicologia Positiva ci aiuta ad affrontare e superare le tante difficoltà che limitano la nostra esistenza. Questo non è sicuramente il migliore dei mondi possibili come non è il peggiore. Imparare ad avere sane e stimolanti relazioni, a tollerare e accettare il dolore; sviluppare autoconsapevolezza, empatia, autostima, curiosità, creatività, gentilezza e generosità; tutto ciò avrà un impatto straordinariamente positivo sulla nostra vita. La noia, il vuoto esistenziale, la tristezza (che non sono patologie da curare) possono essere sconfitti senza combatterli sul campo di battaglia, ma sviluppando i tanti punti di forza che ognuno di noi possiede, consapevolmente o meno. La Psicologia Positiva ci indica la strada e ci fornisce gli strumenti necessari per rendere la nostra vita una Buona Vita.

Bibliografia

  • Alberts, H.J.E.M. (2013, September 12). Positive Psychology Coaching; Manuals for Coach and Client. Retrieved from http://www.positivepsychologyprogram.com.
  • Bergson, H., L’evoluzione creatrice, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002
  • Chiorri, Teoria e tecnica psicometrica, McGraw-Hill, Milano 2011
  • Colombo, Baruffi, Il Subjective Well-Being Training in: Goldwurm, Colombo, Psicologia Positiva, cap. 3, Centro Studi Erickson, Trento 2010
  • D’Urso, Trentin, Introduzione alla Psicologia delle emozioni, Laterza editore, Roma 1998
  • Galimberti U., La casa di Psiche, Feltrinelli editore, Milano 2005
  • Laudadio, Mancuso, Manuale di Psicologia Positiva, Franco Angeli, Milano 2015
  • Hayes, Strosahl & Wilson, ACT, Raffaello Cortina editore, Milano 2013
  • Quine, W.van O., Da un punto di vista logico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004
  • Quine, W. Van O., Parola e oggetto, Il Saggiatore, Milano 2008
  • Schalock, Verdugo Alonso, Manuale di qualità della vita, Vannini editore, Brescia 2006
  • Seligman, M. Fai fiorire la tua vita, Anteprima editore, Torino 2011
  • Siegel R. D. , Qui e ora, Centro Studi Erickson, Trento 2012

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Una risposta

  1. Piera ha detto:

    Ottima panoramica sui concetti chiave. Una riflessione che viene da fare leggendo questo articolo è quanto sia importante nella vita delle persone (nella loro mente) l’accettazione. Accettazione dell’esistenza del dolore e di situazioni poco piacevoli. Questo assetto mentale può predisporre al cambiamento, che parte anche dal mettere in moto tanti piccoli passi verso una vita più piena e positiva, anche se le avversità possono restare. A dispetto di esse, al di là di esse. Grazie

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