Costruire mondi: da George Kelly alla Mindfulness
Costruire mondi: da George Kelly alla Mindfulness
A cura del Dott. Claudio Bacchetti
Nei primi anni Trenta del secolo scorso, l’allora sconosciuto George Kelly (1905-1967), poco dopo essersi laureato, fondò una Clinica di Psicologia Itinerante che collaborava con le scuole pubbliche dell’Arkansas. I docenti di queste scuole inviavano alla clinica gli studenti più problematici; quelli che, a parer loro, presentavano delle difficoltà psicologiche. Essi descrivevano a Kelly le varie caratteristiche di ogni singolo studente e fu allora che il nostro autore notò e comprese ciò che altri psicologi dell’epoca non poterono. Non che fossero degli incompetenti, sia ben chiaro, ma erano imbrigliati nelle maglie delle loro dogmatiche teorie che, allora, erano sostanzialmente due: quella pulsionale e quella stimolo-risposta (qualche anno dopo, Kelly le definirà le teorie “push and pull”). Egli notò che i vari docenti, descrivendo uno stesso studente (che, per semplicità, chiameremo John Jones), ne fornivano delle versioni diverse e, talvolta, contrastanti. Per alcuni John era pigro e svogliato, per altri disattento e distratto e, per altri ancora, antipatico e maleducato. Pareva che non stessero parlando di John, ma di più studenti, tanti quanti erano gli insegnanti che si lamentavano. Ma, nella realtà (quella che qualcuno chiama oggettiva) esisteva un solo John Jones in quelle scuole. Da queste osservazioni empiriche, basate sulla pratica clinica, George Kelly giunse a conclusioni che saranno poi esposte nel suo capolavoro del 1955:La Psicologia dei Costrutti Personali.
Quegli insegnanti, quando parlavano di John, stavano descrivendo anche se stessi, svelavano il loro mondo usando i loro schemi mentali; questi schemi sono stati denominati da Kelly costrutti personali. I costrutti sono dimensioni bipolari (utile-inutile, noioso-interessante e così via) che ci permettono di costruire mondi e a dar loro un significato. Sono utilizzati per conoscere gli eventi […] e sono modalità per costruire la realtà. Sono una rappresentazione dell’universo che ognuno di noi utilizza per conoscere, interpretare e costruire la propria unica e irripetibile realtà.
Tuttavia, in questo articolo, non intendo occuparmi della complessa teoria kellyana, ma limitarmi al suo Alternativismo Costruttivo e alle molte somiglianze che condivide con la teoria della Mindfulness, nonché alle differenze.
Mindfulness
La pratica della Mindfulness si sta diffondendo enormemente anche nel nostro paese e, prima di continuare, mi pare opportuno cercare di chiarire alcuni fraintendimenti.
Qualcuno crede che la Mindfulness sia una scoperta, o un’invenzione di Jon Kabat-Zinn, il biologo statunitense che, verso la fine degli anni Settanta, creò il noto protocollo MBSR basato sulla Mindfulness per la riduzione dei disturbi correlati allo stress. I corrispondenti corsi MBSR sono anch’essi basati su di essa, ma non è corretto definirli corsi di Mindfulness. Lo stesso discorso vale per l’altro noto protocollo MBCT, creato per la prevenzione delle ricadute degli stati depressivi (e vale per gli innumerevoli protocolli, psicologici e non, Mindfulness-based). Questi programmi, la cui efficacia e stata validata da migliaia di studi scientifici, non possono definirsi corsi di Mindfulness per tre ragioni:
- Ogni protocollo utilizza uno specifico aspetto della Mindfulness (l’accettazione incondizionata, il non-giudizio, la capacità di riconoscere e gestire le ruminazioni ossessive, ecc.). I protocolli sono creati per specifici disturbi o sintomi; la Mindfulness non si occupa invece di contenuti mentali (i disturbi) ma del disagio umano e del ‘contenitore’: quell’unità mente-corpo che chiamiamo Persona.
- Essi mantengono il loro precipuo apparato teorico, mentre la Mindfulness si affida a una complessa e imponente struttura teorica, in gran parte esposta nell’ Abbhidhamma, il compendio psicologico e filosofico buddhista risalente a 1.500 anni fa.
- Nella pratica della Mindfulness non si può prescindere dall’aspetto etico e spirituale; dallo sviluppo delle Quattro sublimi virtù (o Quattro Incommensurabili): gentilezza amorevole, compassione, gioia empatica ed equanimità. Per queste quatto virtù esistono le corrispondenti pratiche meditative che sono parzialmente ignorate nei protocolli Mindfulness-based. In assenza di questo aspetto etico, secondo i più grandi esperti mondiali di Mindfulness (tra di loro ricordo il Dalai Lama) è impossibile che le pratiche meditative siano efficaci.
A questo proposito, nel corso del XIII simposio del Mind and Life Institute (tenutosi a Washington nel 2005) ci fu un interessante scambio di vedute tra Jon Kabat-Zinn e il Dalai Lama.
Kabat-Zinn – La prima domanda che ho da farle, Sua Santità, è questa: qualche pratica meditativa specifica è stata usata con successo nella tradizione medica tibetana per particolari malattie o afflizioni mentali?
Dalai Lama – Non lo so. I miei medici non mi hanno mai insegnato nessuna meditazione
Bisogna considerare che il Dalai Lama è sicuramente tra i più grandi esperti di pratiche meditative e alla successiva domanda di Kabat-Zinn, se l’esperienza della pura consapevolezza sia di per sé fonte di guarigione fisica o mentale, egli rispose:
Ma la domanda è: quando si esce da questo stato, il dolore si ripresenterà? Forse. Perciò, in questo caso, è una forma di diversivo o potrebbe funzionare come un calmante […]. Una delle caratteristiche della compassione è che apre il vostro cuore all’esterno a un campo molto più esteso. Questo in sé avrà un effetto, rilasciando l’attaccamento al proprio nucleo egocentrico.
Allan Wallace, uno dei più noti esponenti mondiali di Mindfulness, in un’intervista afferma che: quando la Mindfulness è equiparata alla pura attenzione, questo può facilmente condurre alla errata concezione secondo la quale praticare la Mindfulness non ha molto a che fare con l’etica o con l’incremento di uno stato mentale salutare e con l’attenzione degli stati mentali non salutari. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.
E ne I Quattro Incommensurabili afferma che: la pratica della Mindfulness mette l’accento su tre cose. La prima, insindacabile, è l’etica. La seconda è stabilizzare la mente e la terza è la pratica della comprensione.
Perché allora l’etica non è inserita nei protocolli basati sulla Mindfulness? Wallace è molto esplicito: dimentichiamo che siamo parte di un ambiente e che interagiamo con gli altri. Evitare l’etica perché non vende è ruffianeria.
Riassumendo, praticare la Mindfulness non significa rimanere seduti a gambe incrociate per 30/40 minuti al giorno a contemplare il respiro, né a sviluppare l’attenzione, l’accettazione e la consapevolezza; questi sono aspetti fondamentali ma propedeutici. Praticare la Mindfulness significa anche diventare consapevoli della propria consapevolezza, ma soprattutto sviluppare una vita etica e una rara capacità introspettiva che si ottiene con un monitoraggio aperto con il quale notiamo i contenuti mentali così come si presentano alla mente; e impariamo a distinguere il salutare dal non salutare (avidità, odio e illusione). Ciò che è dannoso o non salutare viene riconosciuto meditando, ma viene estinto nel nostro agire quotidiano.
Proprio come nella psicoanalisi, in cui se una persona è stesa sul lettino e parla liberamente di ciò che le viene in mente, prima o poi in lei emergerà una quantità di materiale che ha cercato di rimuovere, così anche nella pratica della Mindfulness tali contenuti tenderanno a ritornare alla consapevolezza.
Tuttavia la Mindfulness non è una psicoterapia, non ci sono diagnosi, test, questionari, né previsioni o prognosi; l’Istruttore di Mindfulness non interviene in alcun modo per modificare il corso degli eventi delle singole persone. Egli, o ella, si limita a condurre le pratiche meditative, senza alcun tipo di interpretazione o spiegazione psicologica o pseudo tale. Il riferimento teorico, ripeto, è quello della filosofia e psicologia buddhista, contenuta in gran parte nell’Abbhidhamma, il terzo libro del Canone Pali.
In un percorso di Mindfulness non si tratta di apprendere nozioni concettuali bensì di praticare la meditazione e trasporla nella quotidianità (pratica informale). Chiunque può ricostruire il proprio mondo e trasformare il disagio in benessere, la condizione per riuscirci si chiama impegno.
Per quanto riguarda l’aspetto spirituale voglio solo ricordare che esso non è sinonimo di religiosità. Spiritualità significa aspirare e ispirarsi non a valori materiali (ricchezza, potere o altro), ma a valori immateriali (altruismo, tolleranza, perdono, compassione, empatia, ecc.) che hanno un impatto insospettabilmente positivo sul nostro benessere psicologico.
A Jon Kabat-Zinn va però riconosciuto un innegabile merito: aver denominato (o rinominato) una pratica che vanta oltre due millenni di storia usando un accattivante termine inglese; senza questo stratagemma linguistico, molto probabilmente oggi non parleremmo né di Mindfulness né di pratiche buddhiste (sicuramente non a questo livello di notorietà).
I tre punti di cui sopra sono applicabili anche alle psicoterapie di terza generazione, che sono basate sulla Mindfulness. In questo nuovo approccio il paziente è sollecitato a cambiare il suo rapporto con l’esperienza personale, piuttosto che intervenire su pensieri, emozioni o comportamenti maladattivi. Questo approccio non è, tuttavia, una novità in psicologia, ma appartiene alle terapia costruttivista di Kelly, a quella centrata sulla Persona di Rogers, alla psicoanalisi e alle psicologie umanistiche ed esistenziali.
L’ultimo fraintendimento da dipanare riguarda la figura di Siddharta Gautama (il Buddha) e il Buddhismo. Gautama non fu un Dio, né un mistico ma un raffinato e profondo filosofo della mente che rese pratica tale filosofia con un unico scopo: estinguere la sofferenza umana. Il Buddhismo non è una religione ma una pratica e un sistema filosofico secolare e laico sul quale si fonda la Mindfulness e da tale sistema, e pratica, essa non può prescindere. La Mindfulness è stata definita in vari modi; a me piace impiegare le parole che Kelly usò per definire il suo Alternativismo Costruttivo, descrizione che ben si adatta anche alla Mindfulness:
Si tratta di una prospettiva filosofica che si basa sull’osservazione dell’essere umano dal punto di vista psicologico. Ed è una prospettiva psicologica che include le elaborazioni filosofiche di ciascun individuo.
Il Costruttivismo
In filosofia si definisce Realismo quella prospettiva che ritiene la realtà conoscibile e indipendente dall’essere umano; la riproduzione passiva di un mondo già dato che può essere sintetizzata in tre brevi punti:
- esiste una realtà al di fuori di noi;
- essa è da noi indipendente;
- essa è da noi conoscibile.
Il Costruttivismo banale (o Realismo ingenuo) nega il terzo punto, mentre il Costruttivismo Radicale li nega tutti e tre.
La distinzione tra Realismo e Costruttivismo non è un vuoto esercizio speculativo, ma presenta importanti implicazioni psicologiche che riguardano il rapporto tra conoscenza e realtà, la responsabilità individuale e la libertà.
Aderire o credere in una delle due prospettive modifica e determina le nostre modalità di rapportarci con il nostro ambiente interno ed esterno: la nostra sfera emotiva e cognitiva, le relazioni con altre persone e con ogni oggetto che ci circonda. La questione, da tempo dibattuta, è se esista una corrispondenza tra questo rapporto: ciò che conosciamo esiste realmente o è il frutto della fantasia e dell’immaginazione? Qual è la relazione tra i dati sensoriali che in effetti vediamo e gli oggetti materiali che apparentemente non vediamo? Se le cose che esistono sono solo nella mente delle persone la realtà consiste interamente in dati sensoriali (fenomenismo). Quindi la realtà è un’illusione.
Senza addentrarci troppo in questioni filosofiche (anche se, a mio parere, sarebbero fondamentali in ogni tipo di relazioni di aiuto, e umane) la maggior parte dei filosofi che si sono occupati dell’argomento ritengono il Realismo una concezione erronea. Essi credono (dicendo essi intendo grandi filosofi come Locke, Hume, Kant) che noi non vediamo il mondo reale […]. Noi non percepiamo gli oggetti materiali, percepiamo solo dati sensoriali. In termini molto ordinari, si può dire che c’è una grande differenza tra il pensare che esista una realtà oggettiva e indipendente e una realtà in continuo mutamento conoscibile solo soggettivamente. Le implicazioni psicologiche non sono di poco conto: il Realismo attribuisce la responsabilità dei nostri atteggiamenti all’ambiente (push o pull) deresponsabilizzando il nostro comportamento. Il Costruttivismo è una scomoda teoria che attribuisce alla Persona la responsabilità del mondo in cui pensa di abitare. Nel primo caso l’esistenza è passiva, saremo vittima degli eventi (storici, sociali, culturali, del nostro personale passato); nel secondo caso, come afferma con decisione Kelly, l’esistenza è attiva e ogni persona è responsabile delle proprie scelte e nessuno è vittima degli eventi. E quando ci sentiamo minacciati o vittime delle situazioni ambientali e interne possiamo liberamente ricostruire il nostro mondo. Essere costruiti o determinati da eventi esterni significa essere privati della libertà, mentre essere artefici attivi delle nostre personali costruzioni implica essere liberi.
Come scrive Kelly: “ciascun individuo gradua la soglia della propria libertà o della propria schiavitù in funzione del livello al quale sceglie di stabilire le proprie convinzioni. Chi possiede convinzioni che abbracciano una prospettiva molto ampia e che si basano su principi di fondo piuttosto che su regole immutabili, avrà maggiori probabilità di scoprire quelle alternative che potranno renderlo libero”.
Costruire Mondi
L’Alternativismo Costruttivo di Kelly è la posizione filosofica su cui si fonda tutta la sua Opera. In tale prospettiva, quando una nostra costruzione si rivela disfunzionale o maladattiva, abbiamo sempre la possibilità di costruire un nuovo mondo:
Riteniamo che tutte le nostre attuali interpretazione dell’universo siano suscettibili di essere riviste o rimpiazzate […]. Nessuno è rinchiuso in un angolo; nessuno è completamente vincolato dalle circostanze; nessuno è vittima degli eventi della propria vita. Denominiamo questa posizione filosofica Alternativismo Costruttivo.
Alla sua teoria filosofica Kelly dedica un intero capitolo (39 pagine) in cui affronta vari argomenti: il senso della vita, il rapporto psicologia-filosofia, determinismo e libertà e, naturalmente, la costruzione soggettiva della realtà. Rimane tutt’oggi una teoria innovativa e prolifica, ma nel lontano 1955 lo era troppo e pagò il prezzo della marginalizzazione in quanto si rifiutò di parlare il linguaggio della maggioranza.
La maggioranza a cui fa riferimento Butt era composta da due ‘fazioni’ contrapposte: la Psicoanalisi e il Comportamentismo. La costruzione del Mondo (o della Realtà) è il punto di incontro tra Alternativismo Costruttivo e Mindfulness. Come abbiamo visto, nella teoria kellyana l’essere umano costruisce e ricostruisce mondi usando i propri costrutti personali. Ma Kelly concepisce una realtà esistente al di fuori di noi: assumiamo che l’universo esista realmente, è reale e non costituisce il frutto della nostra immaginazione. Sebbene la corrispondenza tra ciò che riteniamo che esista e ciò che esiste realmente sia in continuo cambiamento.
Le teorie filosofiche e psicologiche a cui fa riferimento la Mindfulness nascono, come per Kelly, dall’esperienza empirica che, in questo caso, è rappresentata da una profonda meditazione introspettiva.
L’Impermanenza è la convinzione di fondo del pensiero buddhista (usando il vocabolario kellyano potremmo definirla il Postulato fondamentale). E’ un concetto piuttosto semplice, intuitivo e condiviso da molte culture. Nel pensiero buddhista questo atteggiamento è radicale: tutto è in perenne divenire e la realtà è il mare del mutamento. Non esiste nulla, nella nostra esperienza spazio-temporale, che permanga, che sia fissa, immobile o immutabile. Sensazioni, pensieri, emozioni e ogni stato mentale e fisico appaiono per trasformarsi e scomparire, per poi riapparire in forme sempre diverse. Possiamo illuderci che esista una realtà immutabile, ma non troveremo mai nulla di simile nell’esperienza. La realtà, interna ed esterna, non è un essere (non è) ma un divenire. La teoria buddhista della mente afferma che noi percepiamo la realtà in momenti separati che poi ricostruiamo, arbitrariamente, in modo lineare. Questa ricostruzione della realtà non sarà mai oggettiva perché dipende dai nostri pensieri (desideri, paure, aspettative, ecc). Questa costruzione è il flusso di coscienza che la filosofia buddhista definisce illusoria: la costruzione-ricostruzione è sempre organizzata intorno al desiderio di come la realtà potrebbe essere per noi. Ciò che costruiamo è un fraintendimento e la sofferenza ne è il naturale effetto, infatti essa sorge dal desiderio che le cose siano diverse da come sono. Ma con la Mindfulness ci spingiamo oltre. Il mondo viene costruito con l’esperienza, momento dopo momento. Questi momenti vengono percepiti separatamente e conosciuti come permanenti e fissi, quando in realtà ogni momento di esperienza nasce da ciò che emerge e subito dopo scompare. Così creiamo un nuovo mondo. Questo processo, in gran parte inconscio, in lingua Pali si chiama Parikalpa, ossia: L’elaborazione costruita, combinata, escogitata di una versione possibile o approssimativa delle cose, che possiamo considerare una parvenza di realtà. Questa è la natura dell’esperienza umana: un’illusione generata da una potente fantasia.
Ciò non implica che la realtà non esista: sono consapevole di essere circondato da persone, animali, montagne e mari. E quando dormo tutto questo non scompare per poi riapparire al mio risveglio: se questo fosse il mio pensiero sarei un desolato solipsista. L’illusione è un fraintendimento, in parte conscio e in gran parte inconscio; e questa consapevolezza della realtà illusoria è, psicologicamente, cruciale. Io sono consapevole che il mio mondo, le persone che incontro per strada, i miei amici, la mia compagna e mia figlia sono reali, ma, al tempo stesso so che sono mie costruzioni. Questa mia consapevolezza mi permette di accettare le costruzioni altrui e di essere, quindi, accettante, benevolo e tollerante. Al contrario se penso che esista un mondo reale e uguale per tutti cadrò nell’Illusione a cui fa riferimento la filosofia buddhista. Se prendiamo per buona questa falsa costruzione del mondo l’effetto sarà il conflitto, il disagio e la sofferenza.
Quella della Mindfulness non è poi una posizione tanto estrema o isolata. Un altro gigante della Storia della Psicologia, Carl Rogers, e con questo concludo, nel V capitolo di Un Modo di Essere, pubblicato nel 1980, scrisse:
Dove mi hanno condotto i miei pensieri relativi a un mondo di realtà oggettiva?
Non esiste chiaramente negli oggetti che possiamo vedere, sentire e tenere.
Non esiste nella tecnologia che così grandemente ammiriamo.
Non si trova nella terra solida o nelle stelle scintillanti.
Non risiede nella concreta conoscenza di coloro che ci circondano.
Non si trova nelle organizzazioni o nei costumi o rituali di qualunque cultura.
Non è neppure nei contesti personali che ci sono noti.
Devo prendere in considerazione realtà separate, misteriose e attualmente insondabili, incredibilmente differenti da un mondo oggettivo.
Io, e con me molti altri, sono giunto a una nuova supposizione: la sola realtà che posso probabilmente conoscere è il mondo come io lo percepisco e sperimento in questo momento.
La sola realtà che voi potete probabilmente conoscere è il mondo come lo percepite e sperimentate voi in questo momento.
E la sola cosa sicura è che queste realtà percepite sono differenti.
Ci sono altrettanti mondi reali quante sono le persone.
BIBLIOGRAFIA
- Alan Wallace, I Quattro Incommensurabili, Ubaldini Editore, Roma 2000
- Alan Wallace, La Rivoluzione dell’Attenzione, Ubaldini Editore, Roma 2008
- Andrew Olendzki, La Mente Non Limitante, Ubaldini Editore, Roma 2014
- Carl Rogers, Un Modo di Essere, Giunti Editore, Firenze 2012
- Castiglioni-Corradini, Modelli epistemologici in psicologia, Carocci Editore, Roma 2011
- Cervone-Pervin, La Scienza della Personalità, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009
- Dalai Lama-Kabat-Zinn-R. Davidson, La meditazione come medicina, Mondadori Libri, Milano 2015
- George Kelly,La Psicologia dei Costrutti Personali, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004
- Fabrizio Didonna (a cura di), Manuale Clinico di Mindfulness, Franco Angeli editore, Milano 2012
- John R. Searle La Mente, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005
- Kabat-Zinn-S. Rinpoche- C. Saron et Al., Guarire con la Meditazione, Edizioni AMRITA, Torino 2014
- Paul Watzlawick (a cura di) La Realtà Inventata, Feltrinelli Editore, Milano 1988
- Pollak-Pedulla-Siegel Daniel, Mindfulness in Psicoterapia, Edizioni EDRA, Milano 2015
- Trevor Butt, George Kelly e la Psicologia dei Costrutti Personali, Franco Angeli, Milano 2009
- Winston King, La meditazione Theravada, Ubaldini Editore, Roma 1987