Bambini e videogames

dr.campidoriBambini e videogames
a cura del Dr. Jacopo Campidori

 Quando eravamo giovani noi, non esisteva tutta questa tecnologia. Quando eravamo giovani noi, non eravamo affetti da ludopatia. Ti annoiavi? E ti divertivi a far rotolare due patate per terra, e guai se non era abbastanza. Facevi troppa confusione? Non c’era la mamma che ti accendeva il tablet per tenerti buono. Allora se non eri capace di stare cinque minuti a giocare per conto tuo senza assillare i tuoi genitori, erano problemi seri!

Per questo mia madre, disperata, quando avevo sette anni corse a comprarmi un avveniristico Commodore 16, così che nel momento in cui la tv mi avesse stufato, mi sarei potuto immergere a capofitto nella rete di bit offerta dai primi giochi elettronici.

In realtà non è che mancassero i videogames: c’erano già i giochi “Game & Watch”, e quelli della “Gakken”, e poi i “Gig Tiger”, e con 200 lire si poteva andare al bar a stordirsi di “Double Dragon” immersi nell’onnipresente cortina fumogena di Nazionali ed Esportazioni senza filtro. E se eri davvero “cool”, potevi sbalordire i tuoi compagni con un orologio Casio con calcolatrice e videogame sparatutto integrato.

I video games,  già trent’anni fa, facevano il loro ingresso nelle nostre vite, e noi ne eravamo  già irrimediabilmente infettati. Come ne respirammo l’odore, fu dipendenza.

Ma allora cos’è cambiato? Perchè adesso sembra che i videogiochi siano il male assoluto? La causa principe di una società allo sfacelo?

Quello che è cambiato, non è la presenza dei videogiochi in sé, quanto l’uso che ne viene fatto. Ma questo vale per qualsiasi altra cosa si voglia prendere in considerazione. Mangiare una barretta di cioccolato, può essere salutare, mangiarne un chilo al giorno no. Guardare un po’ di tv può essere ricreativo, guardarla per dieci ore al giorno è alienante. Prendere un aspirina se siamo influenzati può essere utile, prenderne una scatola ogni volta che abbiamo il minimo malessere, no.

Tutto sta nell’uso che ne facciamo.

Molti studi hanno dimostrato che giocare ai videogames senza eccedere (circa un’ora al giorno), ha notevoli benefici sui bambini: uno studio dell’università di Oxford apparso sulla rivista Pediatrics ha evidenziato come i bambini che giocano regolarmente coi videogames per circa un ora al giorno, appaiano più soddisfatti della propria vita, più abili nelle interazioni sociali, nel fare amicizie, a livello empatico, e con un numero minore di condotte problematiche (iperattività, problemi emotivi, relazionali).

Altri studi (per una rassegna degli studi degli ultimi trenta anni) hanno evidenziato che i videogames hanno effetti positivi a livello cognitivo, ad esempio nel miglioramento della coordinazione oculo-manuale, nella visualizzazione spaziale, nei tempi di reazione, nel riconoscimento di parole, facendo giungere alla conclusione di quanto sia importante sviluppare giochi che tengano conto della fascia d’età a cui sono destinati, con l’obiettivo di facilitarne lo sviluppo cognitivo.

Ovviamente esistono migliaia di studi che evidenziano il carattere dannoso dei videogiochi, gli effetti negativi che ha un uso smodato sullo sviluppo psichico, sull’aggressività, sui danni a lungo termine di un uso eccessivo di giochi violenti, sull’alienazione, sul senso di realtà, sulla socializzazione. Ma sono i videogames in sé ad essere dannosi, o è il tipo di gioco scelto e il tempo dedicato a questi?

È fuori di dubbio che far giocare un bambino di 5 anni con un gioco che riporta chiaramente un divieto per minori di 18 anni, a causa dei contenuti violenti, non è positivo. Ma in questo caso non si tratta dei videogiochi, quanto del tipo di gioco scelto. Allo stesso modo, permettere ad un bambino di passare dieci ore consecutive di fronte ad un gioco, anche di tipo didattico, è ovviamente dannoso.

Tempo fa fui contattato dalla famiglia di un bambino di 12 anni che si rifiutava di andare a scuola da diversi mesi. La famiglia era disperata, non sapeva più come fare. Mi dissero che le avevano provate tutte, ma il figlio si rifiutava categoricamente di uscire di casa, ricorrendo se necessario a crisi violente. Una volta entrato in casa loro mi accorsi della triste verità: lo trovai infatti ipnotizzato di fronte alla consolle intento ad uccidere alieni in un gioco di guerra. Questo in sè non era necessariamente un problema. Il problema era che questo ragazzo passava le sue intere giornate ai video games, fino a notte fonda. La mattina era troppo stanco per svegliarsi, e pertanto voleva restare a letto. Nel momento in cui si svegliava, in tarda mattinata, alternava la sua giornata tra xbox, playstation, tablet, iphone. La famiglia mi aveva detto che non sapeva come fare, ma nonostante tutto ogni tre giorni gli veniva comprato un nuovo gioco. La casa straripava di videogames, di tutti i generi, da giochi per bambini a giochi di una violenza inaudita.

In questo stato di cose la domanda nasce spontanea: erano i videogiochi il problema? Il ragazzo non voleva andare a scuola, ma perchè avrebbe dovuto andarci, se tutto ciò di cui aveva bisogno gli veniva comprato senza problemi? Andremmo a lavorare ogni mattina se ogni mese ci venissero dati 5000 euro senza muovere un dito? Forse alcune persone sì, ma quante?

Tutto questo per dire che i videogiochi in sé non rappresentano il problema, quanto le modalità con cui vengono utilizzati. E’ importante che sia la famiglia a monitorare e controllare come e quali giochi vengono utilizzati: non tutti i giochi sono adatti ad ogni fascia d’età, ed è importante che il tempo venga limitato, senza che i videogiochi vengano trasformati in una baby sitter per tenere buono il bambino perchè non abbiamo voglia di caricarci della fatica di dover essere genitori.

Stigmatizzare i videogames facendo di tutta l’erba un fascio non ha assolutamente senso, ma serve solamente a perdere di vista il vero problema. I videogames devono rappresentare un passatempo, a cui dedicarsi per un tempo limitato, in alternativa ad altre attività che non devono essere eliminate. I videogames diventano dannosi solamente quando perdono la loro caratteristica ricreativa e si trasformano nell’unica realtà a disposizione di nostro figlio.

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