Borderline e terapia
Salve, una persona a me molto cara con disturbo di personalità borderline e autolesionista ad un certo punto non riesce piu’ a riconoscere il suo terapeuta. Lei dice che ricorda il suo terapeuta in un certo modo, (modo di vestire tono di voce ecc.) quando incontra questa persona la vede totalmente diversa, prova una sensazione di terrore e rifiuta ogni colloquio. riconosce questa persona come inadeguata e del tutto estranea, non riesce quasi a controllare i propri movimenti. Continuano gli incontri ma la situazione sembra non migliorare. In che modo potrebbe comunicare questo problema al terapeuta? In che modo il terapeuta potrebbe aiutarla ? grazie della vostra disponibilità.
Risponde il Dr. Jacopo Campidori
Salve, la ringrazio per aver scritto.
Ho letto attentamente la sua domanda e ho pensato ad una possible risposta, che purtroppo posso darle solo in parte.
Per quanto riguarda il modo di comunicare questo problema al terapeuta, posso dirle che non esiste un modo ottimale per farlo, ma neppure un modo sbagliato. La terapia è un momento e un luogo dedicato al paziente, un angolo di mondo sicuro a lui riservato in cui non preoccuparsi di fare brutta figura, di essere giudicato, o di far del male al proprio interlocutore: è un luogo sicuro che deve ruotare solamente attorno al paziente.
Qualsiasi modo venga scelto per riferire al terapeuta i propri stati d’animo è assolutamente perfetto: l’importante è che questa persona lo faccia. Questo perchè è importante che comprenda che la terapia è un momento in cui si può parlare di tutto, in cui non esistono tabù, in cui non ci sono pensieri da nascondere: ogni pensiero, vissuto, stato d’animo, emozione, può e deve essere lasciato uscire liberamente.
Ripeto: all’interno del setting terapeutico si può parlare di qualsiasi cosa, non ci si deve preoccupare di niente, di essere giudicati, di essere fuori luogo, nè tantomeno di ferire il teraputa. All’interno della terapia ci si deve sentire a proprio agio, liberi di aprirci a qualsiasi dubbio, a qualsiasi problema, senza trattenerci, e senza paura di sbagliare.
Per quanto riguarda il modo in cui il terapeuta potrebbe aiutare questa persona, mi dispiace ma non mi sento assolutamente in grado di risponderle, dal momento che l’intervento messo in atto dipende da svariati fattori: il tipo di orientamento del terapeuta, il cammino intrapreso fino ad allora dalla coppia paziente-terapeuta, il tipo di relazione sviluppatasi, il materiale emerso, gli obiettivi prefissati, e quant’altro.
L’unica cosa che mi sento di dire con certezza è che il paziente, ad un’affermazione del genere, non dovrebbe sentirsi giudicato, ma al contrario sentirsi accolto in quello che dice, e ciò può avvenire solamente se il terapeuta è in grado di trasmettergli il messaggio che anche di quell’argomento si può parlarne, che può lasciarsi andare anche a critiche esplicite, che dire cil che si pensa non è sbagliato.
Durante una terapia si può parlare di tutto, anche di sentimenti negativi, l’importante è parlarne.
Esiste un motto, che ogni paziente (e ogni terapeuta) dovrebbe sempre tenere a mente: il paziente ha sempre ragione.
Lo tenga bene a mente, e mi raccomando, non se ne scordi mai.
Nella speranza di esserle stato d’aiuto
le porgo cordiali saluti
Dott. Jacopo Campidori, Psicologo.
Jacopo Campidori, Psicologo e Psicoterapeuta di orientamento Cognitivo-Costruttivista. E’ nato nel 1978 a Firenze, dove attualmente vive e lavora. Direttore della rivista on-line di Psicologia “GliPsicologi.info“. Pratica la libera professione (terapia individuale con adulti, adolescenti e di coppia) presso il suo studio a Firenze.
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