Fino all’osso: recensione del film sull’anoressia
Fino all’osso (To the Bone)
A cura della Dott.ssa Chiara De Giorgi
L’ultima fatica di Netflix è “Fino all’osso (To the Bone)” un film che tratta il tema delicato dell’anoressia dal punto di vista di Ellen, una giovanissima ragazza giunta quasi al limite delle sue forze, ma non abbastanza, né per combattere né per lasciarsi vincere.
Ellen proviene da una famiglia atipica quanto disfunzionale. Vive nella nuova famiglia del padre, composta dalla figura assente di quest’ultimo, dalla matrigna Susan (che a modo suo lotta insieme ad Ellen) e dalla sorellastra Kelly, figura positiva e complice nella lotta per la vita della sorella.
La madre naturale di Ellen vive lontano da loro, ha una relazione omosessuale con un’altra donna da anni, motivo della separazione della famiglia originaria. La donna si è arresa completamente alla malattia della figlia. Le uniche che lottano ancora per Ellen sono Susan e Kelly. Ellen entra ed esce dalle cliniche senza risultato, finchè Susan, la matrigna riesce a convincere la ragazza a fare l’ultimo tentativo, una casa per ragazzi anoressici, un progetto di semi-auto gestione curato dal Dr William Beckham, un uomo alquanto sui generis e con un’idea di guarigione basata sull’instaurarsi di relazione autentiche fra i ragazzi e sul reciproco incoraggiamento.
Il film non assume mai una piega completamente documentaristica, sebbene siano visibili alcuni rituali praticati dai malati di anoressia nel tentativo di assumere continuamente il controllo, come salire e scendere le scale, fare addominali, contare le calorie, sminuzzare il cibo.
L’ossessività e l’attaccamento morboso alla malattia si evincono invece da episodi in cui la protagonista è sul letto a stringersi il braccio tra indice e pollice per controllare che non stia ingrassando o al ristorante in cui mastica il boccone e lo risputa nel tovagliolo, gettando lo spettatore nel più completo disagio.
Cos’è quindi questo disagio, che significato psicologico ha l’anoressia?
“L’anoressia (dal greco ἀνορεξία anorexía, comp. di an- priv. e órexis ‘appetito’) è un disagio in cui la persona coinvolta si rifiuta di mangiare del cibo per diversi motivi.
Comunemente il termine è spesso usato come sinonimo di anoressia nervosa (dove il rifiuto è dovuto alla paura di ingrassare e di apparire grassa, o “imperfetta”), ma in realtà esistono molteplici possibili cause di una diminuzione dell’appetito, alcune delle quali potrebbero risultare innocue, mentre altre sono indice di una grave condizione clinica o comportano un rischio significativo, ciò che spesso accade agli adolescenti.” (Wikipedia)
La protagonista del film fa un lungo percorso in cui inizialmente è strettamente legata alla malattia, all’ossessività, a questa parte di sé che le permette di avere tutto sotto controllo. Ovvero tutto ciò che non ha: la madre che non si prende cura di lei, il padre assente, così assente che non viene mai realmente presentato, ma solo nominato.
Nel percorso Ellen non è pronta a lasciar andare la sua anima anoressica che esprime artisticamente attraverso il disegno. Lotta con le regole della casa, lotta con Luke che si innamora di lei e che viene distrutto emotivamente quando Ellen decide di andare via. Lotta col cibo che non ingoia o che sminuzza. Tutto questo fino a che un drammatico evento la conduce al collasso.
Non esiste speranza, non esiste via d’uscita, non esiste vita per quelli come lei. L’unico modo e abbandonarsi, non lottare più e lasciarsi morire. Ecco che scappa e tocca il fondo, ma sarà questo affossamento, questo toccare la terra prematuramente che la ricongiungerà non alla vita, ma alla speranza e all’amore di meritare anche lei la sua vita.
Nel climax della rappresentazione Ellen scappa dalla casa di cura e torna dalla vera madre. Ecco avvicendarsi il finale simbolico del film. La madre accoglie Ellen e comprende che ha smesso di lottare. Nel dialogo fra le due la madre riferisce alla figlia di accettare. Accetta la sua malattia, accetta che non voglia più combattere, accetta quello che è stato, accetta Ellen per quella che è.
La simbologia prende forma nella richiesta di poterla nutrire come se fosse appena nata. Ha un biberon in mano ed Ellen piangendo accetta. La madre la culla, la madre la nutre. La figlia ritrova finalmente l’antica relazione perduta.
Nel simbolismo psicologico di stampo psicoanalitico e nello specifico Winnicottiano il biberon è il seno della madre e il seno della madre rappresenta la relazione oggettuale. La prima in assoluto da cui avranno luogo tutte le altre e da cui avrà luogo un essere nuovo e autonomo.
Secondo Winnicott “lo scambio che la madre fornisce al bambino, non è solo un nutrimento materiale, ma è emotivo, empatico, di accoglienza. La funzione fondamentale della madre diviene quella di accudimento. E’ questo il vero nutrimento.”
“Si scopre ancora, paradossalmente, che la “non fame” alimentare dell’anoressica nasconde un’immensa fame d’amore: verso il padre, poco o nulla presente o, al contrario, portatore di un abuso materiale, mentale o fantasticato, o verso la madre che nutre meccanicamente e senza amore con un cibo materiale, freddo, elargito per dovere che sostituisce con gli alimenti la presenza fisica e psichica che non è capace di dare (Recalcati, 1997).”
La madre che aveva respinto la figlia si ricongiunge a lei, accettandola per quello che è e, nello stesso tempo nutrendola e amandola come se fosse la prima volta. La prima volta fra le sue braccia. Il primo incontro, il primo calore, la prima relazione dopo la venuta al mondo. Ellen si lascia andare, si fa nutrire, non deve più avere il controllo. E’ accudita, è amata.
A questo punto lascia la casa materna e si avvia verso una collina ripida e rocciosa. Qui si accascia, si teme la morte.
Nel sonno-morte ha una visione di sé bella e rinvigorita e si osserva dall’alto di un ramo su cui è seduta con accanto Luke e con cui dialoga.
La visione di sé splendente e sana lascia improvvisamente posto ad uno scheletro in terra. E’ lei, avvizzita, spenta, ricoperta di terra, fredda e incrostata. Chiede a Luke spiegazioni e lui le risponde con una frase prima di svanire: “Il coraggio è un pezzo di carbone che decidi di inghiottire ogni giorno”.
Ellen apre la mano, ha un pezzo di carbone, lo ingoia con fatica.
Apre gli occhi. Il sole brucia alto, pizzica, ha le labbra ricoperte di terra e sono secche. E’ disidrata ma è viva.
Ellen è viva. Si alza e si incammina. Non è più indecisa tra la vita e la morte, scende dall’auto di Susan e Kelly.
Ad attenderla i suoi compagni di avventura.
Chiara De Giorgi è una psicologa. Vive e lavora a Firenze. Si occupa di sostegno psicologico, prevenzione e promozione della salute con bambini, adolescenti, adulti e coppie.
Per appuntamenti o informazioni:
Studio: Firenze, via Cavour 64.
Tel.: 340 – 12 95 586
E-mail: chiaradegiorgi.psi@gmail.com