I Dervisci, la vertigine di Dio
I Dervisci, la vertigine di Dio
A cura della Dott.ssa Agata Gallo
l grande filosofo armeno Georges Ivanovitch Gurdjieff teorizzò come Pensiero, Sentimento e Corpo siano antropologicamente collegati ai vari percorsi storici e geografici delle religioni.
I suoi studi lo portarono a notare come in Oriente il misticismo fosse collegato con la pratica della meditazione (qui si collega con l’elemento Pensiero), come in Occidente la religione si fondi sulla Fede (ovvero il sentimento; nella Bibbia si fa riferimento alla parola Credere nell’Esodo 4:31) ed infine come le religioni nel sud del mondo colleghino “corporalmente” Dio con l’uomo.
Anche nella nostra Italia, la taranta salentina ballata a ritmo della trascinante pizzica ha carattere esorcistico, ovvero allontana il diavolo dal corpo per riavvicinare il posseduto a Dio. Un ballo prolungato nel tempo ad un ritmo sfrenato di musica, che porta allo sfinimento per l’accelerazione del battito cardiaco, consumando energie e liquidi del corpo, fino al delirio parossistico, e che nel corso del tempo ha acquistato valori esoterici e mistici.
Allo stesso modo, la comunione con Allah nella cultura islamica è permessa dalla danza rotatoria dei Dervisci, una confraternita antichissima e fondamentalista di uomini, espressione della corrente sufista, ora discepoli della scuola sufu Mevlevi, che vede in Din Rumi il suo fondatore circa 800 anni fà.
L’affascinante rituale consiste in una preparazione alla danza con preghiere e musica, nella danza vera e propria dove l’uomo diventa medium tra la terra e Dio, e il ritorno nella realtà. Il canto cerimoniale è basato per lo più su poemi tratti dal Marnavi o da altri scritti di Rûmi e gli strumenti usati sono un flauto verticale chiamato Nav e dai kudum dei timpani di cuoio di capra e piatti di rame; la danza è un movimento rotatorio velocissimo decorato da lunghi gonnelloni bianchi che svolazzano e regolano la velocità rendendola agli spettatori armoniosa e fluida, mentre un piede dà la spinta e l’altro ruota, cercando di tenere a terra solo le prime due dita.
La suggestione, la musica e la fede permettono di vedere l’estasi vera e propria dei Dervisci, ovvero il momento culmininante della trance, in cui la mente è lontana da qualsiasi affare terreno e la danza diventa un volo a pochi centimenti da terra, in cui il corpo pare essere fuori dalle leggi di gravitazione terrestre.
Raggiunto questo stato, la musica e il canto si interrompono bruscamente, cala un surreale silenzio divino dopo tutto il frastuono e i dervisci, nel loro stato di estasi, continuano a roteare nel silenzio. La voce timida e dolce di un flauto lentamente riporta tutti alla realtà.
Ex-stasi, dal greco “stare fuori”, è la percezione di mente e corpo estranei l’uno all’altro: la trascendenza è data dallo scavalcamento dei limiti dell’individualità personale per espandersi al di fuori del sé arrivando all’unione-comunione con Dio.
Nella tradizione psicoanalitica le interpretazioni sono di tipo patologiche e tendono ad assimilare l’esperienza mistica a forme regressive di tipo schizofrenico, ad espressioni isteriche e a forme estreme di narcisismo, dove l’estasi viene interpretata come una forma di regressione alla dimensione pre relazionale che Freud ha definito “Narcisismo primario” o addirittura come nostalgia e desiderio di regressione alla condizione prenatale.
Un grande poeta mistico turco del 13 sec., Celatettin Rûmi, scriveva: “Molte strade portano a Dio. Io ho scelto quella della danza e della musica.”