L’effetto placebo
L’effetto placebo è il più antico e il più efficace trattamento terapeutico conosciuto dall’uomo
a cura del Dr. Giulio Cesare Senatore
Fino a che punto le nostre aspettative di guarigione possono innescare un vero e proprio miglioramento terapeutico nel nostro corpo? La sola credenza che qualcosa possa aiutarci a stare meglio può indurre un effetto curativo? Avere un atteggiamento mentale positivo può influenzare il corpo al punto tale da migliorare il decorso di una malattia fino alla guarigione? Le ricerche scientifiche fatte negli ultimi anni sull’effetto placebo ci permettono di rispondere affermativamente a tutte queste domande, dimostrando in maniera inequivocabile quanto mente e corpo siano interconnessi nei processi di salute/malattia.
L’effetto placebo può essere definito come la misura di tutti quei cambiamenti benefici, sia fisici che psicologici, che avvengono nelle persone, causati delle loro aspettative consce o inconsce di guarigione, a prescindere dall’intervento di farmaci o procedure terapeutiche attive.
L’effetto placebo è il più antico e il più efficace trattamento terapeutico conosciuto dall’uomo. Anche oggi, non esiste un unico farmaco che possa avere un potere curativo così come accade con l’effetto placebo su ogni malattia.
Ogni azione che abbia un valore terapeutico implica delle aspettative di guarigione in grado di influenzare la fisiologia del corpo. Esse sono profondamente dipendenti dalla cultura e dai relativi rituali terapeutici. Nel caso specifico della medicina occidentale, recarsi presso uno studio medico, assumere dei farmaci, ricoverarsi in ospedale, sottoporsi ad un’operazione chirurgica, sono tutte azioni che generalmente producono un effetto placebo senza che necessariamente venga somministrata una cura che abbia una specifica azione terapeutica attiva.
Gli effetti benefici saranno tanto più evidenti quanto più potente sarà ritenuto l’atto terapeutico. Ricerche specifiche sull’effetto placebo hanno evidenziato ad esempio che 4 pillole placebo (che contengono una sostanza inerte senza un’azione farmacologica attiva) danno un effetto maggiore dell’assunzione di due pillole; più grande è la pillola e maggiore sarà il suo effetto; un’iniezione di soluzione fisiologica funzionerà meglio di una pillola placebo. Gli effetti più clamorosi si raggiungono con la chirurgia placebo, in cui, ad esempio, una semplice incisione al ginocchio produce gli stessi effetti benefici di una vera e propria artroscopia per l’osteoartrite. Nelle ultime ricerche si è arrivati a dimostrare che l’effetto placebo si verifica anche quando le persone sono consapevoli di assumere un placebo; infatti, questo viene comunicato in maniera esplicita ai partecipanti e anche l’etichetta della confezione delle pillole da assumere riporta la scritta placebo.
In generale l’effetto placebo si verifica quando si creano le condizioni ideali che inducono la persona a credere nella propria guarigione o trasformazione. Nel contesto terapeutico, la relazione medico-paziente è il fattore principale che influenza la credenza del paziente che una data terapia funzionerà. Le parole del medico, la sua comunicazione non verbale e le sue aspettative positive, inducono un potente effetto placebo nel paziente. Si è riscontrato che a parità di trattamento placebo si ha un effetto terapeutico maggiore nel caso in cui il medico adotti una comunicazione empatica che trasmetta fiducia e aspettative positive in merito ai benefici del trattamento eseguito.
Il potere di suggestione del medico può indurre anche un effetto negativo. Ad esempio la comunicazione di una diagnosi di una grave patologia può avere un impatto psicologico drammatico sul paziente inducendo un effetto che viene definito nocebo, in cui le aspettative negative producono un peggioramento del quadro clinico. Tanti casi di effetto nocebo vengono riscontrati anche nelle sperimentazioni cliniche, quando i partecipanti a cui viene somministrata la pillola placebo manifestano gli stessi effetti collaterali che si avrebbero con l’assunzione del vero farmaco. Tutto questo solo perché gli viene comunicato che la sostanza da sperimentare potrebbe provocare degli effetti avversi.
Quello che emerge dalle sperimentazioni cliniche, che quasi sempre viene omesso, è che l’effetto terapeutico di qualsiasi farmaco, anche di quello più efficace, è ascrivibile solo in parte alla sua azione farmacologica. L’altra parte significativa dipende dall’effetto placebo. In altre parole, nell’uso clinico l’effetto dei farmaci dipenderà, non solo dalla farmacologia e dal loro dosaggio, ma anche dalle aspettative, sia dei dottori che dei pazienti, dai suggerimenti verbali e non verbali che verranno dati in merito all’efficacia che si creda possa avere sulla specifica malattia.
Spesso l’azione farmacologica specifica di un trattamento ha solamente un ruolo marginale. Nel caso dei rimedi dell’omeopatia si riscontrano effetti sostanzialmente identici all’utilizzo dei placebo. Lo stesso si può affermare per buona parte dei farmaci attualmente in uso che non si discostano significativamente dagli effetti di un placebo. Un esempio clamoroso è dato dalla scoperta fatta da uno dei maggiori esperti in questo campo, il dottor Irving Kirsch, il quale in una ricerca basata sui dati delle sperimentazioni di alcuni antidepressivi, ha evidenziato che la loro efficacia è sostanzialmente uguale a quella ottenuta dai placebo, con l’aggravante di seri effetti collaterali. La ricerca scientifica indipendente sta evidenziando che in molti casi i miglioramenti terapeutici sono in realtà dovuti in buona parte al naturale processo di guarigione del corpo, favorito dall’effetto placebo, generato dalle aspettative positive del paziente e del medico in merito alle azioni terapeutiche messe in atto.
Tutto questo rivoluziona la visione meccanicistica della medicina occidentale. Un’azione terapeutica veramente efficace non può limitarsi all’aspetto biochimico della malattia. I farmaci più efficaci e le tecnologie medicali sono solo degli strumenti nelle mani del medico utili per alleviare i sintomi più fastidiosi ed intervenire nelle situazioni cliniche gravi. Lo studio dell’effetto placebo ci insegna quello che le antiche culture hanno sempre saputo, e cioè che le emozioni, le aspettative e le credenze dell’uomo hanno un’influenza diretta sulla sua biologia e sui processi di guarigione/malattia.
La sfida della medicina moderna sarà quella di ampliare la sua prospettiva sull’uomo nella sua interezza, considerando la centralità della relazione umana tra il medico e il paziente in cui il potere terapeutico della parola è in grado di risvegliare la forza vitale capace di guarire qualunque malessere.
Anche se numerose ricerche, svolte in diverse nazioni, hanno evidenziato che la maggior parte dei medici “prescrive” placebo nella normale pratica clinica, è ancora diffusa una concezione molto limitata dell’effetto placebo, considerato semplicemente come un bizzarro inganno della mente. Sfugge ancora ai più che è l’atto terapeutico a provocare di per sé un certo miglioramento clinico, a prescindere che si somministri o meno una sostanza farmacologicamente attiva. La risposta ad un farmaco, anche a quello più efficace, è composta da diverse componenti. Cerco di spiegarmi meglio. Nei trial clinici, l’effetto terapeutico del farmaco ascrivibile alla sua azione farmacologica è dato dalla differenza tra la risposta al farmaco e la risposta al placebo. Facciamo un esempio pratico, se nel gruppo di volontari a cui viene somministrato il farmaco si riscontra un miglioramento terapuetico (la risposta al farmaco) pari al 65% e nel gruppo di controllo che assume il placebo, il miglioramento terapuetico (la risposta al placebo) è del 50%, l’effetto terapuetico del farmaco dovuto alla sua azione farmacologica è del 15%. Tutto il resto è dovuto all’effetto placebo che l’azione e il contesto terapeutico comporta. Questo fatto quando si parla di effetto placebo, normalmente, non viene mai esplicitato, visto che ridimensiona il “potere” terapeutico dei farmaci. Il ragionamento non finisce qui. Anche la risposta al placebo è composta dall’effetto placebo (quindi dal miglioramento terapuetico che si ha grazie alle aspettative positive di pazienti e medici e dal contesto terapuetico in generale) e dal fenomeno che può essere definito come guarigione spontanea. Infine bisogna aggiungere anche un bias statistico chiamato regressione verso la media, che in questo contesto non approfondisco. La guarigione spontanea viene evidenziata in quei pochi trial clinici, progettati per studiare specificatamente l’effetto placebo, in cui c’è un gruppo di controllo in cui non viene somministrato nessun tipo di trattamento. Gli esperimenti più interessanti, ne cito uno anche nel mio articolo, sono quelli in cui i volontari che hanno una determinata condizione patologica, vengono suddivisi in tre gruppi. Al primo non viene somministrato nessun trattamento, al secondo viene somministrato un trattamento placebo patente (viene dichiarato in maniera esplicita al volontario che sta prendendo un placebo), al terzo gruppo si somministra un placebo senza dichiararlo quindi il volontario crede di prendere un farmaco vero e proprio. La cosa “bizzarra” è che in tutti i gruppi, con percentuali rispettivamente crescenti, si hanno miglioramenti terapeutici significativi. L’effetto placebo funziona anche se sai che stai prendendo un placebo. L’altra cosa interessante è che emerge in maniera non trascurabile anche un tasso di guarigione spontanea. Vogliamo ancora limitarci a considerare l’effetto placebo come un bizzarro inganno della mente? Purtroppo la cultura medica, sia ufficiale che alternativa, ha da sempre sminuito o completamente trascurato questo fenomeno che se compreso fino in fondo rappresenta la dimostrazione inequivocabile della relazione mente-corpo nei processi di malattia/guarigione.