La tecnica dell’ordalia
La tecnica dell’ordalia
A cura del Dr. Jacopo Campidori
La principale funzione della psicoterapia è la promozione del cambiamento nella persona, solitamente in risposta ad uno stato di disagio che l’individuo vive e che non è in grado di risolvere con le abituali strategie. Nel multisfaccettato mondo della psicoterapia, esistono però le più disparate tecniche (più o meno condivise dai vari orientamenti esistenti), tutte accomunate dalla pretesa di poter favorire il superamento di questi “blocchi” psicologici.
In linea di massima le tecniche utilizzate possono essere divise in due grandi famiglie: tecniche che puntano alla radice del problema, e tecniche che si rivolgono al sintomo. Nel primo caso si tratta di terapie solitamente più lunghe, che puntano ad aiutare il soggetto a scoprire le cause di un determinato disturbo, operando ad un livello oltre i sintomi. Alla seconda grande famiglia appartengono invece tutte quelle tecniche che si rivolgono in maniera privilegiata al sintomo, che si concentrano quindi sugli aspetti macroscopici e più visibili del disturbo, senza pertanto interessarsi alle cause.
L’ordalia è una tecnica psicologica che può essere annoverata in questa seconda grande famiglia, una tecnica utilizzata in ambito psicoterapeutico (ad esempio da Milton Erickson, da Jay Haley), di cui difficilmente può essere rintracciato l’inventore, una tecnica “nata orfana” che, al contrario di altre, non può vantare una sicura paternità.
Il nome ordalia deriva dal Germanico antico “ordal” che significa “Giudizio di Dio”. L’ordalia in antichità era infatti una pratica largamente utilizzata nei processi: l’imputato era costretto ad eseguire un duello o una prova durissima (ad esempio portare per alcuni passi una barra incandescente a mani nude). Se l’imputato non riportava ferite, o al massimo ferite che guarivano in breve tempo, l’imputato era giudicato non colpevole. Questo perchè se fosse stato innocente, l’imputato avrebbe affrontato le fatiche assistito da Dio, e pertanto sarebbe stato in grado di non riportare gravi danni.
Ma che cos’è di preciso un’ordalia in ambito psicologico?
L’ordalia è un metodo che risente notevolmente l’influenza dei metodi comportamentali di condizionamento. Si può parlare di ordalia quando un terapeuta, nel tentativo di guarire un paziente da determinati sintomi, gli assegna un compito che il soggetto deve assolutamente eseguire (pena l’interruzione della terapia), un compito esasperante che deve essere più noioso e insopportabile dei sintomi stessi, e da cui non possa sottrarsi (a meno di non volere infrangere il “contratto” stipulato col terapeuta). L’importante è che il compito assegnato non sia troppo duro e quindi impossibile per il soggetto stesso, non sia dannoso o illegale e, se possibile, abbia anche un valore positivo aggiunto, valore che si affianchi al benessere provocato dalla guarigione.
Possono esserci vari modi di proporre un’ordalia. Nel libro “Il terapeuta e la sua vittima”, di Jay Haley, vengono mostrati alcuni esempi di sintomi risolti utilizzando la tecnica ordalica. Per citarne alcuni:
Compito diretto: in cui il terapeuta, dopo aver chiarito il problema, esige che il cliente esegua un determinato compito ogni volta che il sintomo si ripresenta.
Ad esempio in un caso di insonnia, il terapeuta fornisce al soggetto un’ordalia confezionata ad hoc: dal momento che il paziente si era rammaricato, durante precedenti incontri, di non avere tempo a sufficienza per leggere, il terapeuta si servì di questa affermazione per costruire il compito: il soggetto, ogni volta che non fosse riuscito ad addormentarsi, dopo poco avrebbe dovuto alzarsi e, in piedi vicino al camino, avrebbe dovuto leggere libri per tutta la notte. Come si può vedere questo compito rispecchia in pieno i canoni tipici dell’ordalia: non è impossibile per il soggetto, non è dannoso (non più di stare a letto a rigirarsi e scalciare in una crisi d’ansia perchè non si riesce a dormire), non è illegale, e in qualche modo fa bene al paziente, dal momento che gli permette di fare una cosa che avrebbe desiderato da tempo (leggere). Ma, data l’esasperazione del compito, il cliente tende ad odiare l’imposizione, tende a rigettarla, a temerla ed a prevenirla in modo che non sia costretto a doverla mettere in pratica. In questo esempio, l’unico modo per non dover eseguire questo compito (senza dover disobbedire al terapeuta) è dormire. Ma così facendo si realizza proprio ciò che volevamo: l’eliminazione del sintomo che aveva spinto a chiedere aiuto.
Ordalie paradossali: In questo caso il paziente viene incentivato a mettere in pratica il comportamento sintomatico. Si tratta di un ordine paradossale dal momento che per guarire si incoraggia ad eseguire il comportamento sintomatico per cui il cliente è venuto in terapia, oppure ad eseguire volontariamente un atto involontario (come nel caso di pazienti con sintomi ossessivi compulsivi).
Ne è un esempio il caso di un bambino che soffre di onanismo compulsivo. Il bambino in questione ha la tendenza a masturbarsi più volte al giorno, tutti i giorni. Il terapeuta ordina quindi al bambino di tenere una tabella in cui deve segnare tutte le volte che si masturba. Vede così che il bambino raggiunge dei picchi più alti la domenica (per noia, sostiene), e gli ordina quindi di non masturbarsi per tutta la settimana, ma di farlo otto volte la domenica.
Il terapeuta come ordalia: in questo caso l’ordalia viene strutturata nel rapporto cliente-terapeuta.
Può essere un caso lampante l’accrescere la parcella ogni volta che il sintomo si ripresenta. Se il paziente vuole evitare di dover sborsare cifre esorbitanti, il sintomo dev’essere debellato (oppure il paziente può fingere che il sintomo sia scomparso, e cambiare terapeuta). In un caso riportato nel libro di Haley, viene utilizzata una tecnica del genere con una coppia. La donna in questione ha una coazione a lavarsi le mani. La donna esegue questo rituale fino a cinquanta volte al giorno. Il terapeuta dopo varie sedute, stabilisce che la coppia debba dare un centesimo al terapeuta per ogni lavata di mano il primo giorno, il secondo giorno la cifra sarebbe stata raddoppiata a due centesimi a lavata di mano, e via così in maniera esponenziale. Dal resoconto riportato la coppia avrebbe speso solamente pochi dollari in più, prima di abbandonare il sintomo.
Ordalie coinvolgenti due o più persone: in un caso riportato da Erickson, questi aveva escogitato un’ordalia per genitori e figlio. Il figlio piccolo aveva la tendenza di fare pipì a letto. Venne richiesto quindi che ogni volta che il bambino avesse bagnato il letto, questi si sarebbe dovuto alzare per fare esercizi di calligrafia. La madre si sarebbe dovuta levare all’alba e, se avesse trovato il letto bagnato, avrebbe dovuto aiutare il figlio nei suoi esercizi; in caso contrario la madre sarebbe potuta tornare a dormire. Questi compiti rappresentarono un tale fastidio per la famiglia, che presto il bambino smise di fare la pipì a letto (migliorando pure la sua calligrafia).
Per creare un’ordalia sono necessari alcuni passi da seguire:
- Definire chiaramente il problema;
- La persona sintomatica deve essere motivata a risolvere il problema: compito del terapeuta in questo senso può essere di aiutarla a trovare la motivazione necessaria;
- L’ordalia deve essere ben calibrata: impegnativa e ardua, ma non dannosa, deve apportare benefici, e deve avere un inizio e un fine da raggiungere prefissati;
- L’ordalia va accompagnata da una ragion d’essere che la faccia apparire ragionevole;
- L’ordalia continua fino a che il problema non è risolto;
- Tenere presente che l’ordalia viene eseguita in un contesto sociale: “L’ordalia è un processo che obbliga a un cambiamento, e questo ha delle conseguenze. Il terapeuta dev’essere consapevole che il sintomo è una manifestazione di uno stato di confusione in un’organizzazione sociale, di solito una famiglia. […] Quando pertanto il terapeuta risolve in questo modo un sintomo, obbliga ad un cambiamento in una complessa organizzazione che sinora il sintomo manteneva in uno stato d’instabilità”.
La tecnica utilizzata non vuole essere un metodo terapeutico di cambiamento della personalità, di comprensione delle motivazioni o delle radici dei sintomi. Piuttosto la tecnica rappresenta, a mio avviso, un metodo spicciolo e rapido per risolvere determinati problemi, utile solo in determinati casi, ad esempio quando non sia possibile eseguire una terapia lunga e costosa.
La critica che mi sento di apportare è che queste tecniche non tengono conto delle motivazioni reali che hanno contribuito all’emergere dei sintomi. Togliere i sintomi senza vagliare le cause, appare come il tentativo di togliere la frutta marcia da un albero malato: potrebbe bastare a risolvere il problema per quella stagione, ma chi ci dice che l’anno successivo l’albero non sia nuovamente carico di frutta marcia? In questo caso non sarebbe forse più azzeccata una cura a livello delle radici?
A mio avviso, il terapeuta che utilizzi la tecnica ordalica, è come un oculista che prescriva occhiali da vista. Infatti, come sostiene Aldous Huxley in “L’arte di vedere”, “[…]Le lenti neutralizzano i sintomi ma non rimuovono le cause della vista difettosa. […] Medicus curat, natura NON sanat”.
Biografia
- L’arte di vedere – Aldous Huxley (1942)
- Cambiare i bambini e le famiglie – Jay Haley (1984)
- Il terapeuta e la sua vittima – Jay Haley (1985)
Jacopo Campidori, Psicologo e Psicoterapeuta di orientamento Cognitivo-Costruttivista. E’ nato nel 1978 a Firenze, dove attualmente vive e lavora. Direttore della rivista on-line di Psicologia “GliPsicologi.info“. Pratica la libera professione (terapia individuale con adulti, adolescenti e di coppia) presso il suo studio a Firenze.
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Email: jacopo.campidori@glipsicologi.info
Questo articolo è delirante.
Si tratta la malattia mentale come un “difetto costituzionale” da correggere, come fossero piedi piatti da infilare in scarpe ortopediche.
“la tecnica rappresenta, a mio avviso, un metodo spicciolo e rapido per risolvere determinati problemi, utile solo in determinati casi, ad esempio quando non sia possibile eseguire una terapia lunga e costosa”.
Il sintomo non è MAI il male da curare quanto piuttosto l’espressione esterna di una malattia interiore. In quali casi, mi chiedo, non è possibile una terapia “lunga e costosa”?! Se il paziente è in fin di vita? Se il paziente è povero? Se il paziente non ha voglia? E il dovere del medico (perchè se c’è TERAPIA c’è medicina, seppure mentale)dove arriva? Non è forse quello di fare il tutto per salvare la vita (vota psichica, certo, non organica, altrimenti non si parla di malattia mentale ma cardiaca, tanto per dire) del paziente?
E allora perchè perdere tempo in una critica cieca e parziale ad un’ipotesi fallimentare in partenza perchè essa stessa cieca e parziale?
Suggerire delle ovvietà per celare una verità ben più grande che non si vuole o non si può vedere o affrontare.
Sono allibito.
Caro Leonardo, sono assolutamente d’accordo con quello che scrivi, ed infatti l’articolo termina con due paragrafi che riassumono esattamente il tuo pensiero (“togliere i sintomi senza vagliare le cause, appare come il tentativo di togliere la frutta marcia da un albero malato”, oppure “Il terapeuta che utilizzi la tecnica ordalica, è come un oculista che prescriva occhiali da vista”).
Non è il mio articolo a trattare la malattia come un “difetto costituzionale” ma la tecnica dell’ordalia, che da alcuni terapeuti viene utilizzata (non da tutti).
Inoltre i “determinati problemi” da risolvere in modo “spiciolo e rapido” esistono, non è necessario che il paziente sia povero o in fin di vita, può bastare che presenti dei problemi minori: non esistono infatti solo i disturbi clinici da manuale, fortunatamente.
Un esempio. Un individuo che ha problemi a parlare in pubblico e che tra pochi giorni dovrà tenere un dibattito di fronte ad una platea: in questo caso non puoi permetterti di far partire una terapia “lunga e costosa” perchè quello di cui ha bisogno il cliente è tutta un’altra cosa. Ovviamente possiamo successivamente studiare le cause sottostanti, ma è un percorso che può essere avviato in seguito, e solamente se il cliente è d’accordo.
Potrebbe benissimo non essere interessato ad una terapia, riuscire a parlare quel giorno in pubblico potrebbe essere, per lui, più che sufficiente. E il dovere del medico quale sarebbe? Costringerlo ad una psicoterapia?
Inoltre mi domandi come mai “perdere tempo in una critica cieca e parziale ad un’ipotesi fallimentare in partenza perchè essa stessa cieca e parziale”?
Sicuramente perchè permette di creare un dialogo, quello che stiamo facendo noi.
Perchè ci permette di capire, discutere, ed alla fine migliorare.
Perchè le ipotesi che tu definisci “fallimentari in partenza”, per molti sono funzionali, e affatto fallimentari.
Perchè la storia è importante, sapere e conoscere è essenziale, mentre occultare è tendenzialmente sbagliato. Sarebbe come se tu mi avessi detto di non parlare delle stragi naziste, perchè “fallimentari in partenza”.
Cordiali saluti, Dr. Jacopo Campidori.
Bellissima risposta…
Bravo Dr. Jacopo 🙂
è vero che il sintomo è solo l’espressione di un malessere più profondo ma è anche vero che , il più delle volte, il sintomo , nel tempo, si stacca dalla sua valenza iniziale ed assume una forma autonoma che viene mantenuta in vita da tentativi maldestri e poco funzionali per risolverlo. pena la cronicizzazione di una problematica che non ha più alcun legame con le dinamiche “profonde” che lo hanno creato. Quando un sintomo viene eliminato con tecniche rapide produce una serie di rimaneggiamenti profondi e inconsapevoli che danno la possibilità al soggetto di rendersi conto di come si possa vivere senza sperimentando anche un senso di benessere duraturo (esperienza emozianle correttiva)
la prova? be è data dalla lunghezza delle terapie psicoanalitiche che, a distanza di anni, non tolgono affatto alcun sintomo, soprattutto di tipo invalidante come le ossessioni, le fobie o il panico.
“…Per quanto le correnti classiche della psicoterapia differiscano e siano spesso tra loro in contraddizione, esse hanno una ipotesi in comune: che i problemi si possano risolvere soltanto scoprendone le cause. Questo dogma è fondato sulla credenza in una causalità lineare e unidirezionale, che scorre dal passato al presente, e che a sua volta genera l’apparentemente ovvia necessità di raggiungere un insight sulle cause prima che possa avvenire un cambiamento. Permettetemi di fare un’osservazione per certi versi eretica: né nella mia vita personale (a dispetto di tre anni e mezzo di analisi in formazione) né nella mia successiva attività di analista junghiano, né nelle vite dei miei pazienti mi sono mai imbattuto in questo magico effetto dell’insight”
Paul Watzlawick
Credo che escludere a priori qualsiasi tipo di intervento terapeutico, anche se apparentemente non risolutivo, sia comunque sbagliato… Conoscere tecniche, valutare e sperimentare approcci e strategie diversificate arricchiscono la “valigia” dello psicoterapeuta che potrà decidere se e quando utilizzare uno degli “strumenti” in suo possesso. Del resto io penso che solo con la “conoscenza” si può operare una scelta e la scelta offre più possibilità e le possibilità sono importanti occasioni per operare una svolta, un cambiamento…
Non è forse questo che deve stimolare un bravo psicoterapeuta?
Se l’ordalia funziona per combattere un sintomo invalidante e operare un cambiamento.. vada per l’ordalia. Poi, se il cliente vorrà, si troverà il tempo e il modo di indagare sulle cause che hanno originato il sintomo così da rimuoverle evitando che il sintomo si ripresenti.
Per la depressione lieve o moderata la psicoterapia può essere la miglior possibilità di intervento tuttavia, nei casi di depressione maggiore o in certi pazienti, la psicoterapia può non essere sufficiente. Le ricerche indicano che nel caso degli adolescenti la combinazione di terapia farmacologica e psicoterapia può essere l’approccio più efficace per curare la depressione maggiore e ridurre la probabilità di ricadute. Analogamente, una ricerca che ha esaminato la cura della depressione negli anziani ha scoperto che i pazienti che hanno risposto bene alla terapia iniziale combinata (farmaci e IPT) avrebbero avuto meno probabilità di ricadute se avessero continuato la terapia per almeno due anni.