Il counseling è una competenza dello psicologo
Sentenza storica per la difesa della professione di psicologo arriva dal TAR Lazio:
“[Il] disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo”, (TAR Lazio).
Come si legge nella pagina dell’Ordine degli Psicologi del Lazio:
“Con la sentenza n. 13020/2015, il Tar per il Lazio ha disposto l’annullamento dei provvedimenti con cui il Ministero dello sviluppo economico, nel settembre 2014, aveva inserito l’AssoCounseling nell’elenco delle associazioni professionali non regolamentate.
Nel richiedere l’iscrizione in tale elenco, l’AssoCounseling aveva fornito una descrizione delle attività dei propri iscritti che presentava ampi margini di sovrapposizione con l’attività sanitaria dello psicologo e del dottore in tecniche psicologiche.
Ritenendo inammissibile tale sovrapposizione, il Tar ha dunque ricondotto sotto l’esclusiva competenza dello psicologo il trattamento sanitario di ogni disagio psicologico, anche se di lieve entità.”
“Solo gli psicologi possono curare il disagio psichico, anche lieve. Quindi la pratica di consulenza e sostegno psicologico, detta anche councelling, è una competenza riservata a questa categoria professionale“, (Il sole 24 ore, 19 Novembre 2015).
La legge 18 febbraio 1989 n. 56, all’art. 1, definisce la professione di psicologo, prevedendo che essa “comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”.
Per l’esercizio di tale professione, l’art. 2 prevede, ai commi 2 e 3, che “è necessario aver conseguito l’abilitazione in psicologia mediante l’esame di Stato ed essere iscritto nell’apposito albo professionale” ed il superamento di un esame di abilitazione cui “sono ammessi (…) i laureati in psicologia che siano in possesso di adeguata documentazione attestante l’effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto del Ministro della pubblica istruzione, da emanarsi tassativamente entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Il titolo di counselor invece non richiederebbe alcuna formazione accademica, né un’abilitazione professionale, ma la mera iscrizione all’associazione stessa dopo la frequenza di un corso triennale di formazione di natura privata che abiliterebbe a svolgere i seguenti interventi:
- Utilizzare strumenti conoscitivi (al pari degli psicologi) derivanti da diversi orientamenti teorici;
- Ascoltare e riflettere con il cliente in merito alle sue difficoltà (in pratica quello che la letteratura scientifica definisce come intervento per la prevenzione in ambito psicologico);
- Sostenere famiglie, gruppi e istituzioni (ossia offrire sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità)”.
“Da sempre AltraPsicologia sostiene che non è corretto formare psicoterapeuti, per i quali è previsto un lungo, impegnativo e costoso percorso e, contemporaneamente, consentire la formazione e l’ingresso nel mercato dei cosiddetti counselor che tale percorso non rispettano“.